BULLISMO: emergenza educativa e responsabilità.

28 maggio 2019

Bullismo e Cyberbullismo sono una vera piaga sociale: la prevaricazione di pochi, i più forti, vittimizza i più deboli, violando il diritto di ogni minore a crescere in un ambiente sereno.
A ciò si aggiunge un sentimento ormai comune di impunità, per cui aggressioni e sopraffazioni in genere, vengono messe in atto convinti di farla franca (sono minorenne non mi succede nulla).
Spesso chi potrebbe e dovrebbe intervenire non lo fa: il genitore del bullo che lo spalleggia, l’insegnante e il dirigente scolastico che per evitare problemi fanno finta di nulla.
Il silenzio è complice del bullo, come lo spettatore è corresponsabile della violenza sulla vittima.
Non è il litigio occasionale che desta preoccupazione, quanto le continue vessazioni perpetrate ai danni della vittima di turno, che verrà costretta a lasciare la scuola.
Queste azioni sono reati (minacce, stalking, …), i cui responsabili penalmente sono i minori ultra 14enni se imputabili, mentre responsabili civilmente sono i loro genitori, sia dei bulli, sia dei minori che hanno assistito ai fatti senza dissociarsi; senza escludere una responsabilità civile anche a carico della scuola per fatti accaduti all'interno dell'istituto.
Pertanto, seppure non c'è una definizione di bullismo come reato autonomo, esiste una serie di norme che sanzionano queste condotte vessatorie.
Il problema più grande sta nella carenza di soluzioni mirate a tutelare gli adolescenti, specie in ambito scolastico, dove mancano i mezzi per contrastare questo fenomeno.
Non servono psicologi, né progetti. Tantomeno una legge per contrastare il bullismo.
C'è bisogno di maestri, professori, educatori e genitori che ascoltano, che si affiancano a questi ragazzi. 
È più importante tornare a fare educazione civica e alla cittadinanza, piuttosto che scrivere il decalogo del comportamento. 
I ragazzi ci chiedono solo una cosa: ascolto. Dobbiamo imparare a parlare un po' meno e ascoltare di più le loro storie. Quelle dette e non dette.
Le vittime hanno diritto alla felicità, allo stesso modo degli aggressori, che hanno bisogno di capire il loro comportamento.
Non sono "bulli", sono ragazzi.

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