
Nell'era digitale, complice anche la pandemia, è diventato sempre più abituale comunicare sui social network, una piazza virtuale dove in un attimo si possono raggiungere migliaia di persone.
Tuttavia, l'effetto “cassa di risonanza” della piattaforma multimediale non sempre ha effetti positivi, ma può al contrario risultare particolarmente pericoloso, se il messaggio inviato ha carattere offensivo ed infamante nei confronti di un altro soggetto.
Spesso, infatti, da un semplice scambio di idee si arriva ad utilizzare espressioni colorite: un post, commento offensivo, o un messaggio su un gruppo possono integrare il reato di diffamazione.
In tal caso, se l'offesa viene fatta attraverso una piattaforma social il reato sarà considerato aggravato. Ciò anche se il post viene pubblicato ad esempio su un profilo visibile solo ai contatti “amici” o in gruppi chiusi, purchè il posto sia visibile ad almeno due persone.
La diffamazione si realizza anche se la persona offesa non viene nominata espressamente, purchè sia facilmente individuabile da un numero limitato di persone.
In caso di condanna per il reato di diffamazione si può essere chiamati a risarcire il danno ala vittima.
Al fine di tutelasi, la persona che viene a conoscenza di essere stata offesa su un social network potrà presentare una querela entro 3 mesi dal fatto.
In tal caso sarà necessario indicare il post offensivo e il suo autore, nonché indicare i testimoni che hanno letto le offese.
Sarà anche necessario accertare l'indirizzo IP di provenienza del post per accertare la titolarità del profilo, perchè in mancanza di tale accertamento non può identificare con certezza il responsabile del fatto (Cass. 5352/2018).
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